Quando pensiamo a un castello medievale, la prima immagine che ci viene in mente non è un luogo reale, ma uno di fantasia: Camelot, la leggendaria corte di re Artù. Questo sovrano, modello perfetto del re cavaliere medievale, è stato protagonista di racconti epici del passato e, ancora oggi, continua a vivere in film, romanzi e persino in un cartone animato della Disney.
Ma chi era davvero Artù? È stato un personaggio storico o solo una figura della leggenda? Secondo alcuni studi, potrebbe essere esistito un condottiero britannico vissuto alla fine del VI secolo, impegnato a difendere le terre della Britannia dalle invasioni sassoni. Tuttavia, la sua figura è stata trasformata e mitizzata nel corso del tempo, intrecciandosi con leggende celtiche e venendo poi reinterpretata con sensibilità feudale e cortese. La Chiesa stessa si approprierà presto di questa tradizione, dandole una forte impronta cristiana.
È tra XII e XIII secolo che nascono i romanzi bretoni, racconti ambientati in Bretagna (un territorio che comprendeva l’attuale Inghilterra e il nord-ovest della Francia), che trasformano Artù nel modello ideale del sovrano giusto e cristiano. Queste storie, iniziate con l’opera del francese Chrétien de Troyes, ebbero un successo straordinario, come dimostrano i numerosi manoscritti conservati nelle biblioteche medievali.
I racconti della cosiddetta “Materia di Bretagna”, che ruotano attorno alla Tavola Rotonda, esprimono al massimo la cultura cortese e l’ideale dell’amor cortese. Ne sono esempi celebri le vicende di Tristano e Isotta, ma soprattutto l’amore proibito tra Lancillotto e Ginevra, moglie di Artù.
I cavalieri più importanti della corte di re Artù prendono posto alla Tavola rotonda, che ha un significato profondo: simboleggia un’assemblea senza gerarchie, dove tutti i cavalieri sono pari. Ma non è solo un simbolo letterario: a partire dalla metà del XIII secolo, si diffondono in tutta Europa tornei cavallereschi in cui i nobili imitano gli eroi arturiani, adottandone i nomi e le insegne, trasformando i valori della cavalleria in un codice sociale e morale.
L’aspetto più interessante della narrativa arturiana è il suo contributo alla cristianizzazione dell’ideale cavalleresco. Mentre il ciclo carolingio esaltava eroi come Orlando (Rolando), paladino di Carlo Magno che combatteva contro i musulmani con un’idea di cavalleria basata sulla lealtà al re e alla patria, nel ciclo arturiano i cavalieri acquisiscono una dimensione più spirituale: sono chiamati a combattere non solo battaglie terrene, ma anche a difendere l’ordine cosmico contro il caos e il male.
Un esempio chiave di questa evoluzione della figura del cavaliere, che viene “cristianizzato”, è la ricerca del Graal, il leggendario calice che avrebbe raccolto il sangue di Cristo. Questo tema, introdotto da Chrétien de Troyes con il suo Perceval, diventa il fulcro del ciclo del Lancelot-Graal, che si conclude con la Morte di re Artù. La ricerca del Graal non è solo un’avventura, ma un percorso di perfezione cristiana: solo il cavaliere Galaad, figlio di Lancillotto, potrà trovarlo, poiché è rimasto puro, a differenza del padre.
Infine, non possiamo dimenticare la leggendaria spada Excalibur, simbolo del potere regale e del destino di Artù. Secondo la tradizione, alla sua morte la spada viene gettata in un lago, suggellando la fine del suo regno e il passaggio alla leggenda.
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